Riso nero di Sherwood Anderson: distruggere le convenzioni in nome della libertà

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Sherwood Anderson è da sempre accostato a scrittori del calibro di William Faulkner, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald e Gertrude Stein, considerati pure come i maggiori esponenti della “lost generation” ovvero quella generazione di scrittori che rifiuta tutti i canoni borghesi ed europei per compiere una sorta di ritorno verso i canoni classici del passato, rappresentati ad esempio dai temi cari ad Herman Melville, Nathaniel Hawthorne e Edgar Allan Poe.

Eppure, al contrario dei suoi celeberrimi colleghi che forse non sarebbero stati gli stessi senza il suo esempio, Sherwood Anderson che sottolineò l’importanza del racconto breve e creò mondi paralleli molto simili a quelli reali, non ebbe mai la stessa fama e lo stesso successo probabilmente perché la sua vena folle e bizzarra e quella sua singolare propensione verso i repentini cambiamenti esistenziali, determinarono la sua vita e lo resero forse meno credibile agli occhi della critica poiché Sherwood Anderson ebbe sempre molti più detrattori che estimatori.

E se pensiamo che Sherwood Anderson ebbe una morte ancora più bizzarra della sua stessa intera esistenza – nel 1941, ingerì accidentalmente uno stuzzicadenti – è doveroso riscoprirlo nella sua veste più inedita e complessa ovvero quella di romanziere e farlo attraverso Riso nero che è un romanzo del 1925, nel quale vengono espressi stravaganti ideali di libertà, conditi da una serie di sentimenti contrastanti e dal realismo che si fonde con la pura esplorazione psicologica, ecco che tutto diventa molto più articolato e capace di restituire una visione diversa di questo scrittore nato nell’Ohio del 1876.

Riso nero porta infatti in scena tutta l’ammirazione di Sherwood Anderson nei confronti della gente semplice, degli artigiani e dei negri e il suo totale disprezzo nei confronti dei benestanti, di alcuni sui colleghi letterati ma soprattutto verso il puritanesimo, l’opportunismo, le ipocrisie e le convenzioni.

Quella narrata in Riso nero è la storia di John Stockton – alter ego dello stesso Sherwood Anderson – che lascia Chicago, il mestiere di giornalista e sua moglie, per andare alla ricerca della libertà e così, giunge a Old Harbor – piccola cittadina nella quale abitava da ragazzino –, diventa operaio in una fabbrica di ruote, si fa chiamare Bruce Dudley e infine si innamora di una donna che è anche essa in fuga, rispettivamente dall’Europa, dalla condizione di moglie di un uomo di successo, dai soliti canoni di bellezza e così insieme, finiscono per distruggere tutto quello che li ha circondati sino a quel momento, semplicemente per tuffarsi in ciò che il destino ha riservato loro e poco importa se sarà tutto buio e incerto.

Aline e Bruce se n’erano andati. Nel bene e nel male, per loro era cominciata una nuova vita. Avevano sperimentato la vita e l’amore e ne erano stati catturati. Ora per loro sarebbe iniziato un nuovo capitolo. Avrebbero dovuto affrontare nuovi problemi, un nuovo tipo di vita.

In Riso nero, Sherwood Anderson da vero scrittore di razza, sincero e onesto che fotografa ciò che vede e vive, porta in scena tutti i principali contrasti della società – comprese le differenze tra uomini e donne e tra bianchi e neri – e compie molta esplorazione psicologica che finisce per determinare la narrazione e quasi per giustificare i comportamenti e la condotta dei personaggi, che seppur non risulteranno simpatici e determinati, si dimostreranno comunque scaltri e spavaldi poiché mossi dal loro desiderio di libertà e di felicità, avranno almeno il coraggio di prendere in mano le loro squallide esistenze.

Detto questo, è anche necessario sottolineare il fatto che Sherwood Anderson è un maestro e dunque tutti i maestri richiedono uno sforzo non indifferente per essere compresi e metabolizzati e pertanto, la lettura di Riso nero – nel quale è evidente anche lo spettro dell’Europa e della guerra che appaiono come costanti minacce – è un’esperienza che richiede pazienza e spirito di resistenza perché è solo a quel punto che verrà fuori tutto la bellezza e l’importanza che un libro come Riso nero è capace di regalare al lettore.



Riso nero, Sherwood Anderson, Cliquot, 2016 pp.222. Traduzione Marina Pirulli.

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2 Replies to “Riso nero di Sherwood Anderson: distruggere le convenzioni in nome della libertà”

  1. Condivido molto l’affermazione che occorre pazienza nel leggere questo romanzo. Mi sembra che ogni parola è ogni frase debbano essere conquistate , prima di essere capite. Un romanzo che guarda fuori di noi e nel profondo di noi nello stesso tempo.
    Non sono un critico ma solo un lettore appassionato.

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