Lucio Aimasso e La notte in cui suonò Sven Väth: tra musica techno e follia
Non ho mai amato il mondo delle discoteche e non l’ho mai nemmeno frequentato perché ho sempre odiato la musica techno e i luoghi piuttosto compressi e capaci di alterare la percezione della realtà.
Probabilmente è tutta colpa della mia eccessiva necessità di avere sempre tutte le situazioni sotto controllo o più semplicemente è dovuto alle atipiche compagnie che ho sempre frequentato.
Eppure Lucio Aimasso, con il suo La notte in cui suonò Sven Väth, è stato capace di catapultarmi in un mondo lontanissimo da me e in una dimensione parallela, nella quale sembrano contare solo lo sballo e l’autodistruzione o meglio, questo è quello che sembra voler fare Federico Morelli, il protagonista di questo libro, della sua stessa vita.
La notte in cui suonò Sven Väth: la trama
Quella narrata ne La notte in cui suonò Sven Väth è infatti la storia di Federico Morelli – detto il Moro -: un sedicenne di famiglia borghese e benestante che però rifiuta tali canoni e preferisce vivere da selvaggio, provocando così l’ira funesta di suo padre e la totale indifferenza di sua madre.
Per suo padre, il Moro, è infatti un vero e proprio fallito e un disadattato cronico soprattutto dopo l’ennesima bocciatura scolastica e proprio per questo motivo, sembra meritare tutto l’odio, la violenza e il disprezzo da parte dell’uomo che lo ha generato e che un tempo era un vero e proprio eroe per suo figlio ma che oggi, rappresenta invece un vero e proprio ostacolo alla sua libertà personale.
Eppure nonostante Federico Morelli sembra vivere alla continua ricerca dello sballo attraverso il sesso, l’alcool, la droga, le discoteche e le scorribande notturne con la sua fedele compagnia, pare nascondere una profonda maturità, una grande sensibilità e un irrefrenabile bisogno di aiuto.
Se qualcuno si fosse mai preso il disturbo di chiedermelo, avrei risposto che mi piacciono le stazioni, l’odore del legno, le lentiggini, quando ridi o quando piangi e non sai perché, la techno, le ragazze con i capelli rossi, l’MD, vomitare le budella, non arrivare a trent’anni, le tette di Viviana, i kebab di Mohammed, il vecchio campetto, l’ora prima dell’alba, quella canzone che non ricordo.
Il Moro pare infatti eludere le regole, sfidare i propri limiti e autodistruggersi con l’unico intento di attirare l’attenzione di chi realmente dovrebbe tendergli una mano: l’unica capace di redimerlo e la sola che Federico desidera, ovvero quella di suo padre.
A Federico Morelli e alla sua compagnia, servirà proprio un risvolto piuttosto tragico e doloroso per spezzare quella sorta di routine selvaggia e incontrollata e per dimostrare loro che forse un’altra strada è davvero possibile: bisogna solo avere il coraggio e la forza d’animo per intraprenderla.
Lucio Aimasso e La notte in cui suonò Sven Väth
Ne La notte in cui suonò Sven Väth, l’autore Lucio Aimasso, narra una storia forte e dolorosa, che non deve mai essere giudicata bensì dev’essere letta e in qualche modo somatizzata, anche quando l’atteggiamento di Federico Morelli provocherà nel lettore quel fastidioso senso di disagio e di impotenza ma allo stesso tempo, non dev’essere nemmeno giustificata bensì dev’essere presa per ciò che realmente è: una storia come tante altre, che parla di vuoti interiori e della necessità di colmarli a qualsiasi costo ma soprattutto è una storia di speranza e di redenzione che ci ricorda che l’adolescenza è unica proprio perché poi si cresce.
La notte in cui suonò Sven Väth, Lucio Aimasso, CasaSirio Editore, 2017 pp.303.