Intervista a Vincenzo Perna: il traduttore italiano dello scrittore ambientalista Wendell Berry

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Vincenzo Perna è ormai da tempo, il traduttore ufficiale italiano di Wendell Berry poiché tutti i libri pubblicati finora in Italia – dalla casa editrice torinese Lindau Edizioni – dello scrittore, poeta, saggista e ambientalista originario del Kentucky, sono appunto il frutto dell’accurato e meticoloso lavoro di traduzione di Vincenzo Perna, che è diventato traduttore un po’ per caso ma che da quel momento in poi, ha avuto, con la traduzione, un vero e proprio colpo di fulmine che dura ancora oggi.

Vincenzo Perna è infatti uno di quei traduttori che vede la traduzione come una vera e propria arte e che approccia ogni nuovo lavoro come una sorta di lungo viaggio in divenire, dal momento che la traduzione di un testo richiede tempo e approfondite ricerche, con l’intento di riuscire a penetrare meglio all’interno della narrazione e di regalare ai lettori, storie che valga davvero la pena leggere.

Wendell Berry at his home in Port Royal, Ky., on Dec. 18, 2011. Photo by Tom Eblen | teblen@herald-leader.com
Wendell Berry at his home in Port Royal, Ky., on Dec. 18, 2011. Photo by Tom Eblen | teblen@herald-leader.com

E Vincenzo Perna, traducendo per i libri di Wendell Berry, ha realmente donato ai lettori, storie capaci di emozionare e di mostrare cosa significhi vivere in una piccola comunità rurale del Kentucky – ovvero l’immaginaria Port William – ma soprattutto, ha dato voce alle idee ambientaliste di questo bizzarro autore che da ottimo agricoltore, non perde occasione per difendere la natura e l’ambiente.

 

  • Quando e come iniziata la tua carriera di traduttore?

Comincia diversi anni fa abbastanza per caso. Finita l’università ho saputo che un editore cercava qualcuno che traducesse dall’inglese un libro di argomento musicale. Io avevo studiato musica e conoscevo abbastanza bene l’inglese e lo spagnolo, ma non avevo studi specifici di tipo linguistico o letterario. Comunque ci ho provato e mi è andata bene! Ho tradotto diversi titoli di saggistica musicale, poi per molti anni ho fatto altro. Ho vissuto in Inghilterra dove mi sono specializzato in etnomusicologia, mi sono occupato di popular music studies, ho fatto il giornalista e ho scritto un libro sulla musica a Cuba, continuando a tradurre saltuariamente. Chiuse le collaborazioni con i giornali, qualche anno fa mi sono iscritto alla Scuola di traduzione di Paola Mazzarelli a Torino e da allora mi dedico prevalentemente alla traduzione, specialmente di fiction.

  • Personalmente, ho sempre avuto la convinzione che tradurre è un po’ come scrivere un testo da zero ed è dunque un’ operazione piuttosto insidiosa ma piena di sorprese, cosa ami del tuo lavoro e cosa invece detesti?

Be’, proprio da zero forse no… Però in un certo senso è così, perché molti non si rendono conto del fatto che quando leggi un romanzo tradotto, metti di Daniel Pennac, non stai leggendo le parole di Pennac, ma quelle del suo traduttore. Cioè, stai ascoltando la voce italiana di Pennac (che è la bravissima Yasmina Melaouah). Quindi sì, in questo senso tradurre è creare un testo completamente nuovo. E difatti dieci traduttori diversi traducono in dieci modi diversi. Ma ovviamente non è partire da zero perché il testo originale ti dà delle coordinate e quindi anche dei limiti molto precisi.
Della traduzione mi piace il lavoro artigianale e solitario e la flessibilità nell’uso del mio tempo, mi piace lavorare sul peso delle parole e fare ricerca attraverso i libri e internet, e mi piace soprattutto il viaggio che fai insieme all’autore dall’inizio alla fine della traduzione. È come se leggessi il libro con una lente d’ingrandimento, e alla fine ti sembra di essere nella testa dell’autore. Detesto soprattutto lavorare in fretta, e anche, devo dirlo, la poca considerazione in cui da noi è tenuto il traduttore. Se uno traduce male e prende degli svarioni, succede uno scandalo. Se uno traduce bene, a volte i giornali manco citano il nome del traduttore! A questo aggiungi il fatto che in Italia, a differenza di altri paesi europei, quello del traduttore resta un mestiere non tutelato e sottopagato. Tradurre richiede tempo, e spesso lunghe ricerche, verifiche di nomi, date, opere, autori, animali, piante, geografia, abbigliamento, arredamento, tutto… E quel tempo che non è certo quantificato dai compensi.

  • Solitamente come imposti il tuo lavoro di traduzione: leggi tutto il testo prima di iniziare a tradurre o procedi un capitolo per volta?

A volte leggo il testo prima, ma in genere non lo faccio. Preferisco farmi un’idea generale del libro e raccogliere informazioni sull’autore e sull’opera. Leggere tutto prima ha i suoi vantaggi, perché ad esempio ti permette di capire se certi personaggi, discorsi o situazioni ritornano e si chiariscono, ma in pratica io preferisco scoprirlo un po’ alla volta, come se lo stessi leggendo per la prima volta…

  • Com’è stato tradurre Wendell Berry?

Bellissimo e impegnativo. Bellissimo perché penso che Berry sia un grande scrittore, per come scrive e per quello che dice. In un certo senso è un autore a due facce. La saga di Port William, di cui fa parte La memoria di Old Jack, ha esplorato il mondo delle piccole comunità rurali del Sud, un mondo che per molte persone nemmeno esiste, e che è totalmente diverso dall’immagine ultra-urbana con cui di solito identifichiamo l’America. Negli States però Berry è conosciuto anche per i suoi scritti sulla difesa dell’ambiente. Il bello dei suoi romanzi è che in un certo senso mettono in forma narrativa e poetica le sue idee, la sua convinzione che l’uomo ha ricevuto in dono il mondo e lo deve custodire per lasciarlo a chi verrà dopo di lui, non distruggerlo per ricavarne benefici a breve termine per pochi. E siccome Berry è nell’intimo un agricoltore, ciò per lui non significa trasformare tutte le zone rurali in parchi naturali (una tipica idea urbana di difesa dell’ambiente), ma coltivare quello che può crescere in una certa zona rispettando le caratteristiche del terreno, mangiare quando possibile i prodotti locali, rafforzare le comunità rurali, vivere in maniera parsimoniosa. È un’idea minimalista e affascinante che cozza completamente con la globalizzazione e il consumismo del mondo contemporaneo. Ma la narrativa di Berry non è didascalica, i suoi personaggi respirano e si muovono in mezzo a quelle idee.
È stato impegnativo tradurre i suoi romanzi perché sono quasi tutti ambientati nell’America rurale tra la Depressione del ’29 e gli anni ‘60, e questo ha significato, tra l’altro, un sacco di ricerche per capire come si viveva, che cosa si mangiava e come ci si vestiva a quell’epoca, qual è la fauna e la flora del Kentucky ecc. Per l’ultimo romanzo, ad esempio, ho dovuto documentarmi su una quantità di finimenti per cavalli! Un’altra sfida sono stati i riferimenti biblici contenuti nei libri di Berry, che è profondamente cristiano. Se ti parlassi di uno scrittore cristiano che vive nelle campagne del sud degli Stati Uniti, tu che cosa penseresti? Io immaginerei un redneck bigotto con la doppietta dietro il sedile del pickup. Invece Berry è un umanista e un pacifista tutt’altro che bigotto, e leggerlo e tradurlo è stato un piacere anche per me che non sono credente.

  • Durante la traduzione dei suoi libri, ti è mai capitato di doverti confrontare con Wendell Berry e secondo te, è realmente importante o meno per un traduttore, confrontarsi con l’autore?

Direi che oggi è certamente possibile confrontarsi con l’autore (ammesso che sia vivente), ma non indispensabile. Ci sono libri tradotti meravigliosamente da persone che a malapena conoscevano la faccia dell’autore. Poi ci sono autori che vogliono controllare tutto e dirti come devi tradurre anche se magari non sanno la tua lingua, quindi in quel caso non credo che confrontarsi sia molto piacevole. E poi ce ne sono altri che invece sono proprio difficili da raggiungere. Prendi Berry: mi è capitato di doverlo cercare per chiedergli di scrivere un’introduzione. Però lui non usa il computer, vive in campagna e utilizza il suo editore come filtro. Per cui la mia lettera è andata all’agente italiano, da questo all’editore americano, e poi da lì fino a casa di Berry, che alla fine ha risposto con una lettera gentilissima. Il villaggio globale è una bella metafora, ma Berry ti ricorda che non tutto il mondo vuole (o può) essere online. Quindi con Berry ho dovuto risolvere i miei problemi di traduzione da solo, ma sono convinto che poter dialogare con l’autore del libro che traduci può a volte essere un grande vantaggio, e di certo un grande privilegio.

  • C’è un libro o un personaggio creato da Wendell Berry a cui sei particolarmente affezionato?

Me ne vengono in mente due. Jayber Crow, il barbiere allampanato che è un po’ la coscienza storica della comunità di Port William, e Hannah Coulter, una vedova che rivede la sua vita sullo sfondo di cinquant’anni di storia americana. E naturalmente l’ultimo, Old Jack, un vecchio ribelle che resta fino all’ultimo caparbiamente, a volte anche comicamente aggrappato ai suoi modi e valori di vita tradizionali.

  • Come vedi oggi il mondo della traduzione e che consiglio daresti a chi vuole intraprendere questo percorso?

Come dicevo, quello del traduttore è un mestiere difficile, perché sempre esposto ai capricci e ai problemi del mercato, e qualche volta anche alla disonestà degli editori, che negli ultimi anni cercano di pagare meno sfruttando la mano d’opera a bassissimo costo degli esordienti, con i risultati che ti lascio immaginare. A chi ci ha riflettuto bene, a chi ha capito che si tratta di un lavoro solitario non adatto a tutti ed è ancora convinto di volerlo fare, consiglierei di scegliersi dei buoni maestri (meglio traduttori che docenti universitari, perché pochi di questi fanno davvero i traduttori). Purtroppo il quadro non è molto incoraggiante… Detto ciò, con una buona dose di umiltà e di energia resta sempre un lavoro bellissimo.

  • Quali saranno i tuoi progetti futuri? Stai già lavorando a qualche nuova traduzione?

Al momento sto lavorando per Minimum Fax alla traduzione delle lettere di Francis Scott Fitzgerald all’agente e all’editor, quel Maxwell Perkins cui è dedicato il recente film Genius. Sono una testimonianza della visione letteraria e del dramma personale di un autore che è diventato famosissimo al primo romanzo, ma che poi nella breve vita turbolenta è stato incapace di ripetere il successo, anche se oggi è considerato uno dei grandi scrittori americani del Novecento. Ho anche un mio progetto per un altro libro sulla musica a Cuba, che però per il momento è arenato sulla scrivania di un editore. Attendo proposte!

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