Cesare Pavese e La scoperta dell’America: la sua raccolta di saggi letterari

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La passione di Cesare Pavese verso l’America, la letteratura americana e il suo immaginario, nasce molto presto e proprio per questo motivo, si ritrova subito a tradurre alcune delle opere che gli sono apparse meritevoli di attenzione e degne di essere portate anche in Italia, proprio mentre imperversava il fascismo che cercava in ogni modo di ostacolare la diffusione di alcuni testi letterari.

 Il ruolo di traduttore, per Cesare Pavese, finisce così per avere un’importanza fondamentale nella sua vita personale e soprattutto nella sua scrittura, finendo per rompere quella sorta di tradizione letteraria in voga sino a quel momento e ricercando un continuo parallelismo tra gli Stati Uniti e l’Italia, pur consapevole dell’enorme divario tra i due contesti.

Ed ecco che, se osservato all’interno di quest’ottica, La scoperta dell’America finisce per diventare un testo ancora più prezioso, dal momento che raccoglie i saggi di critica letteraria scritti da Cesare Pavese tra il 1930 e il 1950.

E mentre l’America appare, da sempre, una nazione caotica, confusionaria e dissoluta bisogna comunque riconoscerle l’assoluta capacità di fondere costantemente il vecchio con il nuovo. Insomma, tutti aspetti fondamentali e che finiamo per ritrovare anche nella letteratura di quegli anni – e nono solo -, che per i giovani italiani avvicinatisi ai libri americani tradotti da Cesare Pavese, finisce per assurgere ad una vera e propria ventata di preziosa libertà, che soffia intatta e incessante anche ai giorni nostri.

In Italia, a quel tempo, tutto era controllato dal regime fascista che faceva finta di tollerare mentre, in realtà, attendeva solo il passo falso per mandare tutto all’aria e così, la cultura americana diventò una vera e propria fucina di voci e di idee, accompagnata dalla continua ricerca di uno stile proprio e di un nuovo linguaggio capace di reinterpretare il mondo.

Scopriamo così l’America scelta e raccontata da Cesare Pavese attraverso i gli scritti pubblicati su varie riviste e giornali, dove traccia il profilo di autori del calibro di Sinclair Lewis, Sherwood Anderson, Hermann Melville, John Dos Passos, Edgar Lee Masters, Walt Whitman, William Faulkner e Richard Wright solo per citarne alcuni.

Scopriamo così che Hermann Melville, uomo profondamente colto ed erudito, è stato lo scrittore che ha ispirato tutta la letteratura marinaresca a venire e che perse quasi la salute per scrivere, revisionare e riscrivere quel capolavoro che è Moby Dick. Oppure, che i personaggi dei libri di Sinclair Lewis così melanconici, ribelli, con una particolare dedizione verso gli alcolici e che tentano di sfuggire alle incombenze quotidiane, lo fanno solo perché hanno sete di libertà, la stessa che potremmo respirare leggendo le pagine dedicate a Walt Whitman.

Allo stesso tempo, apprendiamo che tutti gli autori raccontati da Cesare Pavese nel suo La scoperta dell’America, hanno compiuto le loro opere in mezzo alle difficoltà, agli stenti, con la costante paura di non farcela e svolgendo una serie di altri mestieri per sopravvivere e pur di raggiungere il loro obiettivo letterario.

Eppure, Cesare Pavese, dalle pagine dei suoi saggi, non si vergogna di ammettere che alcuni romanzi scritti dagli autori dei quali ne traccia i profili, sono brutti, noiosi o poco incisivi, dimostrando così una sincerità assoluta nei confronti della letteratura e contrapposta all’attuale mancanza di vera critica letteraria, di stroncature oneste e sincere poiché oggi tutti i romanzi appaiono stranamente belli e necessari.

Cesare Pavese dimostra così di essere un vero e proprio precursore, capace di raccontare prima degli altri che cosa stesse accadendo oltreoceano e ben consapevole della difficoltà che nel parlare, proprio in quegli anni, di scrittori americani significava portare, ad un pubblico italiano, un linguaggio diverso ma soprattutto problematiche e polemiche storiche e sociali ben diverse dalle nostre, con il rischio costante di non essere nemmeno compresi.

Se un libro come La scoperta dell’America – portato in libreria da Nutrimenti, con la curatela di Dario Pontuale e la prefazione di Ernesto Ferrero – arriva intatto sino ai giorni, dimostra come la buona letteratura non invecchia e non conosce età ma soprattutto, come creare un proprio stile significa essere scrittori classici, capaci di scrivere opere che verranno universalmente riconosciute come veri e propri testi immortali.

Così come non è possibile condensare e travasare il pensiero di Cesare Pavese nei confronti della letteratura americana di quegli anni, allo stesso tempo La scoperta dell’America ci sottolinea che non si finirebbe mai di analizzare gli autori trattati e le loro opere, trovando sempre nuovi spunti di riflessione e nuove prospettive dalle quali analizzare i loro scritti. E forse, proprio con questa ottica bisognerebbe godersi le pagine de La scoperta dell’America, che in alcuni passaggi potrebbe apparire un tantino anacronistico e superato ma che, in realtà, permette di leggere e di rileggere le opere trattate con un nuovo sguardo, lo stesso che ha sempre reso unico questo immenso scrittore piemontese.

La scoperta dell’America, Cesare Pavese, Nutrimenti, 2020 pp.239.

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