Anteprima: torna finalmente in libreria il libro dimenticato di Herman Melville

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Finalmente sono lieta di annunciarvi una notizia sensazionale e che mi sta davvero molto a cuore e della quale non smetterò mai di ringraziare l’amico scrittore Dario Pontuale, per avermi reso partecipe in anteprima di questa celebrazione e soprattutto per aver scelto proprio il mio blog per veicolare questa preziosa novità.

Dunque, il prossimo dicembre CartaCanta Edizioni riporterà alla luce un vero e proprio capolavoro della narrativa nordamericana, pubblicato per la prima volta nel 1957 da Cappelli nella traduzione di Alfredo Rizzardi e dall’epoca mai più riproposto, ovvero La nave di vetro. Redburn: la sua prima avventura, che è in qualche modo l’opera antesignana di Moby Dick poiché sono ben presenti le tematiche e il taglio che Herman Melville adotterà nel suo libro più celebre e più emulato.

Verrà quindi riproposto nella stessa identica traduzione di Alfredo Rizzardi, con la postfazione della figlia Bianca Maria Rizzardi e con la prefazione dello stesso Dario Pontuale che ha fortemente voluto, sostenuto e lavorato alacremente per il ritorno in libreria di questo piccolo grande capolavoro ingiustamente dimenticato.

Herman Melville
La prima edizione de La nave di vetro di Herman Melville (Universale Cappelli)

Di seguito un estratto della prefazione di Dario Pontuale al libro La nave di vetro. Redburn: la sua prima avventura di Herman Melville, dal 6 dicembre disponibile in tutte le librerie.

Diciotto pollici o quarantasette centimetri scarsi di Dario Pontuale

Un’onda si infrange contro la prua, l’albero maestro svetta fiero accanto agli alti pennoni e sulla poppa si legge un nome: La Reine. Dei marinai si arrampicano rapidi sulle sàrtie, un mozzo siede a cavalcioni sul boma, un altro sorregge del cordame con la spalla. Una doppia fila di cannoni occupa i lati del ponte, mentre il capitano fuma il sigaro e il cuoco spacca dei grossi ciocchi fuori dal boccaporto. La scena potrebbe rientrare fra le attraenti raffigurazioni marinaresche offerte dalla penna di Herman Melville, tuttavia manca il dettaglio che spiazza l’immaginazione. Ogni particolare descritto, perfino l’onda infranta, addirittura il sigaro fumante è fatto di vetro e la Reine non è una vera baleniera, bensì un soprammobile di diciotto pollici o quarantasette centimetri scarsi, che dir si voglia. È un pregevole manufatto fabbricato in Francia ed esposto da anni nel salotto di casa Redburn. Protetto da una teca, spolverato una volta al giorno, poggia in bellavista sopra un elegante tavolo per l’invidia di parenti e amici. A lungo appartenne al senatore Wellingborough, un familiare dei Redburn che, in omaggio all’illustre zio assegnarono a uno dei loro figli, l’insolito nome di Wellingborough. È proprio Wellingborough Redburn, voce narrante del romanzo, a descrivere la finezza del sopram mobile, a ritrovare le suggestioni suscitate in un’infanzia ormai lontana. Ogni particolare della Reine resta indelebile, perché quei diciotto pollici o quarantasette centimetri scarsi, che dir si voglia, non sono soltanto vanitosi cimeli, bensì seduzioni incontenibili. Un manufatto di sopraffina arte capace di evocare vecchi ricordi, generare desiderio, energia specialmente in uno specifico momento dell’esistenza: la gioventù. Una gioventù, quella di Wellingbo- rough Redburn, molto somigliante a quella di Herman Melville, tanto da presentare l’elemento autobiografico inequivocabile, ma non unico.
Wellingborough è secondogenito di un grosso importatore di Broad Street, affarista dai mille viaggi; Herman è secondogenito di un ricco commerciante newyorchese amante dei racconti d’avventura. Wellingborough si arruola dopo la lettura di un annuncio marittimo; Herman si imbarca come mozzo dopo il tracollo economico della famiglia. Wellingborough salpa da New York sul brigantino Leda in direzione di Liverpool; Herman, nell’ottobre del 1839, parte da New York sul mercantile St Lawrence con destinazione Liverpool. La rotta, compresa una breve visita a Londra, e il ceto di provenienza combaciano smaccatamente. A un anno dalla partenza lo scrittore americano torna in patria, ma non scrive nulla, non sente il bisogno di raccontare le impressioni della traversata. Lavora per un po’ come insegnate, poi avverte nuovamente il richiamo dell’errare e sulla baleniera Acushnet attraversa le acque del Pacifico. Gironzola tra le Isole Marchesi, Hawaii, Tahiti; nel mentre trova il tempo di disertare, lavorare in una piantagione, vivere tra gli indigeni Typee, partecipare a un ammutinamento. Trascorre tre anni oltreoceano, infine attracca a Boston a bordo della United States e, come spesso accade ai grandi viaggiatori, decide di fermare su carta il tanto vissuto.
Ventisettenne, esordisce pubblicando nel 1846 Typee romanzo ispirato all’esperienza della diserzione; l’anno successivo esce il picaresco Omoo, termine che in polinesiano significa vagabondo e con il quale si scaglia contro le prevaricazioni dei missionari tahitiani. Nel 1849 è il momento di Mardi, opera dalla complessa allegoria religiosa e politica, in bilico tra cronaca marinaresca e romanzo fantastico, a tratti visionario. I primi due titoli riscuoto- no grande successo, l’ultimo molto meno. Ciononostante Melville completa il suo terzo romanzo senza alcun accenno al viaggio in Europa, stranamente di Liverpool non si trova traccia. Lo fa nel 1849 quando, in sole dieci settimane, compone Redburn: il suo primo viaggio, opera nella quale appaiono già concrete le tematiche e la grammatura stilistica melvilliana, prima ancora di Moby Dick, prima ancora di Bartleby lo scrivano. Non c’è bisogno, infatti, di attendere la balena bianca o il copista bislacco per annotare la critica dolente al «sogno americano», la contestazione diretta alla società corruttrice, ai limiti della morale comune, alle implicazioni del libero arbitrio, e come afferma il critico statunitense Francis Otto Matthiessen: «Questi libri mostrano come Melville avesse preso a cuore le sofferenze del genere umano da non potersi accontentare di alcuno di quegli ottimistici palliativi e compensazioni che contro tali sofferenze andava proponendo l’epoca sua». Sebbene lo scrittore newyorchese concepisca Redburn perché ben pagato dalla Harper & Brothers, nella trama mette a fuoco qualcosa fino ad allora mai così manifesto. Abbandona le edeniche atmosfere di Typee e Omoo e, come ancora annotato da Matthiessen: «Si manifesta il destarsi del senso tragico in Melville». L’autobiografismo, prezioso espediente narrativo, funge da indizio, trascina; ma non rimane l’unica chiave di lettura. Wellingborough ed Hermann spartiscono le rotte, l’inesperienza e il desiderio del viaggio, ma principalmente condividono certe aspettative deluse. Entrambi figli della buona borghesia statunitense, avviati al mare da letture e da affascinanti racconti, scopro- no proprio sul mare il brutale impeto umano, la malvagità che lo domina. Costretti ai lavori più umili, sottoposti alle peggiori angherie, testimoni delle più squallide malefatte, attraversano l’Oceano scoprendo, in mare quanto sulla terraferma, la distanza che intercorre tra idealizzazione e realtà. Redburn non è soltanto scoperta di un luogo, perciò, ma altresì scoperta di una precisa idea di mondo, di una decennale presa di coscienza. Un cosmo turbato da conflitti, regolato da una spietata gerarchia, permeato da una dimensione funesta e scontrosa nella quale Redburn, al pari di Melville, scopre l’amarezza della disillusione.
Redburn e Giacca bianca, romanzo del 1850 ispirato al viaggio sulla United States, rappresentano un delicato spartiacque esistenziale e artistico melvilliano, un preciso momento tra le prime opere definite di viaggio o avventura e i successivi romanzi, etichettati come psicologici o metafisici. Non casualmente lo scrittore, e affezionato amico, Nathaniel Hawthorne sottolinea: «Nessuno presentò mai al suo lettore la realtà con la fermezza maggiore che dimostra Melville in Redburn e White-Jacket». Eppure Melville in Redburn fa qualcosa di più, con squisita perizia rende visibile il disincanto, simbolizza le vane promesse della vita, trova forma alle aspettative, le oggettivizza nelle sembianze di un soprammobile. Una nave di vetro poggiata lì in bella mostra fin dalle prime pagine, lucente e perfetta, descritta in ogni dettaglio, raccontata in ogni suggestione, icona di giovanili attese, di richiami vitali. Melville ne prende atto, le accetta, ne ricorda il gusto, ma poche righe più in basso mostra anche il risultato della sciocca aspettativa, dei patti non mantenuti. Il solito e franco Wellingborough dichiara: «Molta polvere e una specie di piumosa lanuggine erano penetrati, nel corso di molti anni, attraverso la connessione della cassetta entro la quale era chiusa la nave e avevano coperto il mare di un leggero velo biancastro». Ecco come lo scrittore di Manhattan rende, dopo l’aspettativa, la disillusione; la trasforma in una polvere infida, ma non letale e nella stessa frase aggiunge: «Una polvere che tuttavia ne migliorava l’effetto complessivo, perché sembrava la spuma schiumosa sollevata dalle tremende tempeste contro le quali sta lottando la brava Reine». Le tempeste polverose alle quali resiste la Reine coincidono con l’esperienza di Redburn, come pure di Melville, ma soprattutto di ogni singolo uomo. Sfortunatamente Melville, nel prosieguo della lunga vita, constaterà definitivamente simile meditata visione, poiché trascorsi i viaggi esotici e i successi letterari, la sua esistenza planerà inesorabilmente.

Herman Melville
Herman Melville

Un estratto del primo capitolo del libro La nave di vetro. Redburn: la sua prima avventura di Herman Melville, dal 6 dicembre disponibile in tutte le librerie.

Uno Come nacque e crebbe in Wellingborough Redburn il desiderio del mare

«Wellingborough, già che te ne vai in mare, prendi con te questa mia giacca da caccia; è proprio quello che ti ci vuole, prendila, non dovrai comprarne un’altra. Guarda com’è calda, lunga e bella, che bei bottoni d’osso ha e quante tasche!»
Così mi disse mio fratello maggiore, in tutta la semplice bontà del suo cuore, alla vigilia della mia partenza per il porto d’imbarco. «Un’altra cosa ancora, Wellingborough» aggiunse «poiché tutti e due siamo a corto di soldi e tu hai bisogno di un po’ di corredo, mentre io non ne ho da dartene, puoi prendere anche il mio fucile da caccia, venderlo a New York e tenerti quello che ti danno. Ma sì, prendilo, a me non serve.»
Allora non ero che un ragazzo. Qualche tempo prima mia madre si era trasferita da New York in un grazioso paese sulle rive dell’Hudson, dove vivevamo in una casetta tranquilla. Alcune tristi delusioni nei miei progetti per l’avvenire e la necessità di rendermi utile, unita a un’inclinazione naturale per il vagabondaggio, avevano cospirato dentro di me per mandarmi sul mare.
Per lunghi mesi ero rimasto assorto nella lettura dei vecchi giornali di New York, studiando con delizia le lunghe colonne de- gli annunci marittimi, che ai miei occhi possedevano uno strano fascino romantico.
Tante volte avevo divorato annunci simili: PER BREMA – Il brigantino Leda, rivestito e cavigliato di rame, avendo quasi completato il carico, salperà martedì 20 maggio per il porto suddetto. Per spedizioni o prenotazioni rivolgersi a bordo, Scalo Coenties.
Nella mia fantasia di ragazzo vissuto sempre lontano dal mare, ogni parola di un annuncio simile a questo suggeriva interi volumi di immagini.
Un brigantino! La parola stessa richiamava l’idea di una nera imbarcazione provata dal mare, con alte e sottili murate e snelli alberi e pennoni.
Rivestito e cavigliato di rame! Questo sì che odorava di salsedine! Come dovevano essere diverse queste navi dai battelli di legno, dipinti di verde e di bianco, a un solo albero, che scivolavano su e giù per il fiume davanti alla nostra casa sulla banchina!
Quasi completato il carico! Che annuncio! Suggeriva immagini di vecchie balle e di casse ricolme di sete e di rasi e mi riempiva di disprezzo per i meschini carichi di fieno e di legname, ammucchiati sopra coperta, che erano familiari alla mia esperienza fluviale.
Salperà martedì 20 maggio… e il giornale recava la data del 5 del mese! Ben quindici giorni d’anticipo; pensate un po’ che viaggio importante doveva essere, se la partenza era stata fissata tanto tempo prima. I battelli fluviali non erano soliti dare annunci così anticipati.
Per spedizioni e prenotazioni rivolgersi a bordo! Andare a bordo di un brigantino rivestito e cavigliato di rame e prenotare un passaggio per Brema! E chi potrebbe aver bisogno di andare a Brema? Solo degli stranieri, senza dubbio; uomini dalla pelle scura, che parlano francese e portano folti baffi di un nero lucente.
Lo Scalo Coenties. Vi dovevano essere all’àncora molti altri brigantini e ogni specie di navi. Lo Scalo Coenties doveva trovarsi nei pressi di file di magazzini dall’aspetto sinistro con porte e sportelli di ferro arrugginiti, tetti coperti di tegole e vecchie àncore e gomene accatastate sui marciapiedi. Frequenti erano in quei dintorni i vecchi caffè fuori moda, popolati da lupi di mare bruciati dal sole, che entravano e uscivano, fumavano sigari e parlavano dell’Avana, di Londra, di Calcutta.

La nave di vetro. Redburn: la sua prima avventura, Herman Melville, CartaCanta Editore, 2018 pp.396. Traduzione Alfredo Rizzardi.

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