Non è vero che non siamo stati felici: Irene Salvatori e la sua Heimat

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Mi chiedo perché un libro come questo di Irene Salvatori, scrittrice e traduttrice, – pubblicato a settembre 2019 da Bollati Boringhieri – sia, purtroppo, passato quasi totalmente inosservato poiché dentro c’è così tanta bellezza poesia e buona scrittura.

Non è vero che non siamo stati felici è una sorta di diario-racconto, scritto dall’autrice diversi anni dopo la perdita della madre ma soprattutto dopo il percorso tortuoso, accidentale e pieno di deviazioni e cadute che ha dovuto compiere per superare il lutto.

Sono cresciuta in questi anni, perché crescere si cresce, si invecchia, si va avanti. Il tempo non ha aspettato che fossi pronta, ha solo continuato ad aggiungermi gli anni, lanciandomeli a manciate come si fa con i semi di erba…

E se in un primo momento preferisce la fuga e l’apprendimento di lingue straniere, con lo scopo di recidere quel cordone ombelicale che la tiene unita alla figura materna, successivamente subentra la confusione emotiva che la travolge come uno tsunami e la lascia senza fiato.

Avevo cambiato lingua, suoni, ma soprattutto avevo cambiato la geografia.

E così come si smettono di pronunciare alcune parole, ecco che grazie ad un aiuto speciale e alla presenza dei suoi tre figlioli, dei libri, dello studio e della scrittura, lentamente il dolore smette di fare paura e viene affrontato imparando nuovamente a respirare e a stare in equilibrio.

Ci sono i libri, tanti libri. I libri sono come gli alberi, aiutano sempre, anzi, nei libri ci entri dentro e il silenzio per un attimo rimane fuori.

E poco importa se nella vita ci si sente sempre inadeguati e afflitti dai sensi di colpa poiché la perfezione non esiste e se c’è, probabilmente, non appartiene al nostro mondo.

… il senso di colpa vola sì alto e lontano e ha tutte le sue colorate ali spiegate, ma solo per posticipare la decisione.

Questo libro di Irene Salvatori sottolinea, inoltre, il prezioso concetto di “Heimat”: il luogo che fa da tana, dove ci si sente al sicuro e protetti ma soprattutto dove ci si può chiudere dall’interno poiché la sola chiave che può aprirla è il rapporto con la propria madre, dal momento che senza di lei è come se non esistesse più il concetto di casa, ecco perché Irene Salvatori deve faticare il doppio per cercare di restituire ai propri figli il significato di casa e il ricordo di una donna che, purtroppo, non hanno mai conosciuto.

Ma a questo serve una Heimat, fa da tana, protegge, si può chiudere la porta dall’interno e oggi sono in grado di farlo, ricordo tutti gli anni in cui mi scappava di mano. La chiave è il rapporto con la mamma, quella è la forza, anche se non è proprio facilissimo da riconoscere.

Eppure dentro Non è vero che non siamo stati felici c’è anche molto altro poiché è scritto attraverso una sorta di flusso di coscienza poetico, pieno di metafore e di un tono disincantato, che nonostante la rabbia, il senso di impotenza e il dolore, ricorre all’ironia e alla leggerezza per ricucire i frammenti, tranciare le relazioni tossiche e sbagliate, risollevarsi dopo le tempeste e tenere vivo il ricordo.

Non è vero che non siamo stati felici, Irene Salvatori, Bollati Boringhieri, 2019 pp.266.

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