La casa delle madri: il romanzo d’esordio del traduttore Daniele Petruccioli

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Ernesto ed Elia sono due gemelli, figli di un padre totalmente assente e sfuggente e di una madre apprensiva, controcorrente e che pur di ribaltare le convenzioni dell’epoca, si ritrova ad appartenere alla prima generazione di donne separate, in un paese bigotto e bacchettone. Il padre e la madre di Ernesto ed Elia, provengono entrambi da due famiglie borghesi, patriarcali e all’antica ma sono troppo giovani e privi di esperienza e di volontà nel cercare di essere una vera famiglia.

Avevano vent’anni quando si erano conosciuti, era il 1986: come facevi a non credere a qualcosa di diverso, a una rivoluzione, all’alba di un mondo nuovo nei rapporti tra uomini e donne, a una valorizzazione delle differenze? Speedy e Sarabanda si erano innamorati nell’Italia cattolica e democristiana del dopo boom.

pp.60

E non basta la nascita dei due gemelli a cercare di tenere uniti i cocci soprattutto dopo che un figlio nasce sano – Elia – mentre l’altro presenta delle menomazioni dovute proprio a delle complicazioni occorse durante il parto, alimentando così ancor di più le aspettative della madre e il desiderio di fuga da parte del padre.

Ed è proprio la mancanza di quel processo di elaborazione e di accettazione – che sta alla base di ogni evento traumatico, che sia esso una malattia o un lutto – ad evidenziare le falle di questa famiglia fin troppo disfunzionale.

E se in una prima fase, Elia ed Ernesto, sembrano essere davvero l’unica ancora di salvezza, prendendosi cura l’uno dell’altro e sostenendosi a vicenda, crescendo, invece, finiscono per diventare due rette parallele che corrono su due binari vicini ma senza mai toccarsi, anzi allontanandosi sempre di più e sputandosi addosso solo rabbia, veleno, silenzio e indifferenza.

Elia ed Ernesto crescono come due vasi comunicanti, diversi ma complementari, che si sfiorano senza mai toccarsi del tutto esattamente come se respinti da un’invisibile forza centrifuga che li scaglia sempre più lontani.

E tutti i membri di questa famiglia – della quale non viene mai menzionato il nome – sembrano essere mossi da due sentimenti contrastanti: la colpa e la rimozione, che spinge tutti loro in un doloroso e rabbioso esercizio di riconoscimento, identificazione e separazione che quasi sempre fa rima con distruzione.

Ernesto ed Elia, piccolissimi, si erano ritrovati inseriti in un meccanismo dispari di identità e separazione che, da una parte, li sopraffaceva ma dall’altra acuiva il loro bisogno uno dell’altro, e quando erano cresciuti abbastanza da inventare costruzioni con blocchi di pensiero, sentimenti e aspirazioni, si erano ritrovati a gettare (con l’inventiva, la scelleratezza, l’amoralità e l’incredibile sagacia dei bambini) le fondamenta per una serie di mura da cui sarebbe stato molto difficile trovare una via d’uscita; a intessere le maglie di una rete nella quale entrambi sarebbero rimasti impelagati e che in particolare per uno di loro avrebbe rischiato di rivelarsi fatale.

pp.127

Fare a pezzi tutto e tutti sembra essere davvero il leitmotiv di Ernesto che cerca in ogni modo di distruggere il suo passato con l’intenzione di cancellare i suoi ricordi, la sua storia, la sua memoria e di conseguenza sé stesso.

Ognuno dei personaggi tratteggiati ne La casa delle madri – questo romanzo d’esordio del traduttore Daniele Petruccioli – soffre probabilmente di certa paradossale sindrome che porta l’individuo a soffocare i legami e contemporaneamente ad anestetizzare il dolore in qualsiasi modo. Ecco perché Ernesto, dopo l’abbandono più eloquente e totale, si sente tradito, offeso, arrabbiato e si rifugia nella droga e negli eccessi mentre Elia, al contrario, inizia a frequentare nuove amicizie e si butta a capofitto in nuovi progetti, fin quando tutto non sembra precipitare ancora una volta.

Il romanzo di Daniele Petruccioli dal titolo molto eloquente, sottolinea, inoltre, le abitazioni che non finiscono mai per appartenere alle persone che le abitano o che le hanno abitate ma soprattutto alle memorie.

La casa non si appartiene, né appartiene a chi l’ha costruita intorno a sé; appartiene, come sempre, in parte alle memorie che la abitano (anche inconsapevolmente, da chi ci vive in carne e ossa), in parte alle esperienze che la abiteranno (e di cui gli spazi – segretamente – recano già le tracce).

pp. 135

La casa delle madri è una cronaca familiare cupa e dolorosa, verso la quale non ho purtroppo trovato molta empatia, in quanto non è riuscita a scattare l’immedesimazione con nessuno dei personaggi presenti nel libro.

L’ho trovato sicuramente scritto bene ma un po’ asettico quasi come se l’autore avesse preferito concentrarsi più sulla forma che sul contenuto e facendo risultare tutto fin troppo preciso, controllato e calibrato, quasi come un esercizio stilistico.

Ho un po’ faticato ad arrivare a fine lettura ma soprattutto a trovare un senso a questa storia che sicuramente dimostra di come la famiglia possa essere sempre un’arma a doppio taglio per l’individuo: capace di dare e contemporaneamente togliere il respiro.

Una storia che trasuda solitudine, rabbia e rancore e probabilmente poco adatta a chi crede che la famiglia sia solo sinonimo di gioia, felicità e serenità.

La casa delle madri, Daniele Petruccioli, Terrarossa Edizioni, 2020 pp. 292.

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