Il grande Gatsby di Francis Scott Fitzgerald e la probabile fine del sogno americano

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il-grande-gatsby-francis-scott-fitzgerald-librofiliaCiò che gli Stati Uniti rappresentano da sempre nell’immaginario collettivo è qualcosa di indefinibile e in costante evoluzione, poiché ognuno troverà una motivazione valida e sempre diversa per spiegare e per alimentare il proprio “american dream”.
Questo fenomeno oltre a riguardare gli stessi cittadini statunitensi – che con questa definizione intendono dimostrare come attraverso il lavoro duro, il sacrificio e la determinazione, sia possibile ottenere risultati e migliorare il proprio status – nel corso dei secoli, ha fatto accorrere negli Stati Uniti un numero infinito di immigrati europei in cerca di speranze e di possibilità.
Eppure, c’è stato qualcuno che questo benedetto sogno americano ha letteralmente cercato di ucciderlo e forse in parte c’è più o meno riuscito.
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È il 1925 quando viene pubblicato Il grande Gatsby che inizialmente non riscuote il successo della precedente pubblicazione di Francis Scott Fitzgerald – la raccolta di racconti L’età del jazz – né l’attenzione massiccia da parte di critica e di lettori.
Probabilmente perché dentro Il grande Gatsby c’è davvero troppo e non tutti sono forse ancora pronti ad accettare quel troppo. Almeno non in quel preciso momento storico, nel quale la gente pensa solo a divertirsi e a fare baldoria perché tanto gli anni della Grande Depressione sono ancora lontanissimi.

Non appena Jay Gatsby – il protagonista del romanzo – si materializza dalle pagine e dalla penna di Francis Scott Fitzgerald, si capisce che la sua figura è avvolta da un alone di fascino e di mistero e il consiglio dato dal padre di Nick Carraway – la voce narrante del romanzo – all’inizio del libro, è forse il mood giusto con il quale si dovrebbe poi leggere l’intera opera:

– Quando ti vien la voglia di criticare qualcuno, – mi disse, – ricordati che non tutti a questo mondo hanno avuto i vantaggi che hai avuto tu.



Dunque regola numero uno: mai giudicare Jay Gatsby e il suo operato.

Ma chi è realmente Jay Gatsby?
Beh, questo quasi nessuno lo sa perché su di lui si è detto di tutto e di più, dal momento che buona parte di coloro che prendono parte alle sue sfarzosissime feste piene di imbucati e innaffiate da litri di champagne, chartreuse e whiskey, si sentono in diritto di dire la propria sul conto di Gatsby e sul suo passato.

Le persone non erano invitate: andavano. Salivano su macchine che le trasportavano a Long Island e qui, chissà come, finivano alla porta di Gatsby. Arrivati lí, si facevano presentare da qualcuno che conosceva Gatsby, dopodiché si comportavano secondo il galateo appropriato a un parco divertimenti. Ma a volte arrivavano e partivano senza neanche aver conosciuto Gatsby, venivano alla festa con una ingenuità che costituiva da sola il biglietto d’ingresso.



All’apparenza, Jay Gatsby è un trentenne molto elegante, ambizioso, collezionista di successi e desideroso di ostentare la propria ricchezza e il proprio parlare forbito, seppur spesso latita dalle sue stesse feste e non ama molto apparire in pubblico.
In pochi sanno però che Jay Gatsby è anche un sentimentale e che dopo cinque anni di devozione incrollabile, è piombato nell’immaginaria West Egg – un mondo a parte adagiato sulla falsa eleganza e sull’ipocrisia e governato dalle sue bizzarre dinamiche e dagli ambigui personaggi che la popolano – solo per riconquistare la cinica e squilibrata Daisy, dalla quale è stato respinto quando era un semplice ufficiale dell’esercito, povero e incapace di garantirle un futuro.
E poco importa che ora Daisy sia una madre totalmente assente e moglie infelice di Tom Buchanan – un ricco giocatore di polo, fisicamente prestante ma purtroppo rozzo, egoista e prepotente – e che insieme diano vita ad un quadretto familiare poco felice ma da mantenere assolutamente in piedi per salvare la faccia e le apparenze.

Erano gente sbadata Tom e Daisy: sfracellavano cose e persone e poi si ritiravano nel loro denaro o nella loro ampia sbadataggine o in ciò che comunque li teneva uniti, e lasciavano che altri mettessero a posto il pasticcio che avevano fatto…

 

Gatsby è davvero pronto a tutto pur di riconquistare Daisy – che nel frattempo è diventata per lui una vera e propria ossessione e un richiamo implacabile – e mostrargli così, chi e cosa è diventato nel corso di questi cinque lunghi anni quell’ufficiale dell’esercito timido e impacciato.

Quasi cinque anni! Perfino in quel pomeriggio dovevano esserci stati momenti in cui Daisy non era riuscita a stare all’altezza del sogno, non per colpa sua, ma a causa della vitalità colossale dell’illusione di lui che andava al di là di Daisy, di qualunque cosa. Gatsby vi si era gettato con passione creatrice, continuando ad accrescerla, ornandola di ogni piuma che il vento gli sospingesse a portata di mano. Non c’è fuoco né gelo tale da sfidare ciò che un uomo può accumulare nel proprio cuore.



E quindi, chi è Jay Gatsby?

…Gatsby che rappresenta tutto ciò che suscita in me disprezzo genuino. Se la personalità è una serie ininterrotta di gesti riusciti, allora c’era in lui qualcosa di splendido, una sensibilità acuita alle promesse della vita, come se fosse collegato a una di quelle macchine complicate che registrano terremoti a venitimila chilometri di distanza.



E che cosa si dice sul suo conto?

– Ha ucciso un uomo e ha fatto la spia ai tedeschi:

– Mi hanno detto che Gatsby ha ammazzato un uomo, una volta.
– Non credo che si tratti di questo, – sostenne Lucille scettica. – Piuttosto è che durante la guerra ha fatto la spia ai tedeschi.



– Ha studiato ad Oxford:

– Ah, incominciate anche voi, adesso, – rispose lei con un pallido sorriso. – Be’, una volta mi ha detto che ha studiato ad Oxford.



– È un contrabbandiere:

È un contrabbandiere, – dicevano le ragazze, aggirandosi tra i suoi cocktail e i suoi fiori.


È stato nel commercio farmaceutico:

– Lui e quel Wolfsheim hanno comprato una quantità di piccole farmacie qui e a Chicago e hanno venduto alcool di grano sottobanco. Questa è una delle sue piccole imprese. Ho capito che era un contrabbandiere la prima volta che l’ho visto, e non mi sono sbagliato.



È comunque vittima di leggende metropolitane decisamente colorite:

Contemporaneamente gli venivano attribuite leggende come «l’oleodotto sotterraneo fino al Canadà» e circolava con insistenza la diceria secondo la quale Gatsby non abitava in una casa ma in una nave che pareva una casa e si spostava in segreto lungo la spiaggia di Long Island.



Jay Gatsby che segretamente gode di tutto il chiacchiericcio che aleggia sulla sua figura è in realtà figlio di contadini poveri e falliti, che nella sua vita precedente ha svolto qualsiasi tipo di attività riuscisse a garantirgli cibo e un giaciglio per la notte. Grazie al suo fisico forte, resistente e perennemente abbronzato, faceva innamorare pazzamente qualsiasi donna incrociata eppure il suo unico obiettivo era quello di raggiungere la ricchezza, la gloria e il successo e poco importava come sarebbe arrivato a tutto questo.

La verità è che Jay Gatsby di West Egg, Long Island, era scaturito da una concezione platonica di se stesso. Era un figlio di Dio – frase che, se vuol dire qualcosa, vuol dire proprio questo – e doveva continuare l’opera del padre mettendosi al servizio di una bellezza vistosa, volgare, da prostituta. Cosí inventò con Jay Gatsby il tipo che poteva venir inventato da un diciassettenne e rimase fino alla fine fedele a questa concezione.



E Jay Gatsby rimase davvero fedele sino alla fine al suo personaggio e a tutto ciò che esso incarnava, compresi i suoi due grandi sogni: Daisy e la gloria assoluta. O almeno così fu, fin quando un personaggio sciatto, miserabile, povero e fallito per uno strano equivoco tenta di mettere fine in qualche modo a quel sogno.

Francis Scott Fitzgerald
Francis Scott Fitzgerald

Francis Scott Fitzgerald ne Il grande Gatsby porta in scena una storia triste e apparentemente sfavillante nonché una satira amara e pungente contraddistinta da ipocrisie, complotti e tradimenti su quelli che furono definiti gli “anni ruggenti” (1919-1929), dimostrando cosi come gli ideali dell’epoca quali il successo, il benessere, i soldi, l’emancipazione e l’avanguardia culturale, si siano letteralmente frantumati dinanzi alla corruzione e nel momento esatto in cui i riflettori si sono spenti e sul palcoscenico è calato un sipario fatto di indifferenza, solitudine, amoralità e ipocrisia.

Francis Scott Fitzgerald attraverso un linguaggio raffinato, enfatico e molto descrittivo racconta la storia di Jay Gatsby perché forse Jay Gatsby rappresenta proprio l’America e il sogno americano, quel sogno che una volta diventato realtà finisce per mostrare il suo lato più orrido o forse più semplicemente:

Mi accorgo adesso che questa è stata una storia del West, dopo tutto: Tom e Gatsby, Daisy e Jordan e io eravamo tutti del West e forse soffrivamo di qualche deficienza che ci rendeva sottilmente inadatti all’Est.



A volte può capitare si sentirsi inadatti o non all’altezza dei propri sogni, o no?

Soundtrack:

Il grande Gatsby, Francis Scott Fitzgerald, Einaudi 2014, pp. 162. Traduzione Fernanda Pivano.




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